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Premio Cultura 2024

 

 

Ho il piacere di comunicare che anche quest’anno il Consiglio Federale dell’ASI ha attribuito al nostro Club un premio per l’attività culturale svolta nel 2023.

In particolare:

  • 90° anniversario della Trasvolata Atlantica
  • 100° dell’Aeronautica Militare Italiana
  • Conferenza sulla prima auto in Toscana
  • Conferenza sulla transizione Ecologica

Grazie per la vostra partecipazione

Un cordiale Saluto

Filippo Amore

Giornata Nazionale del Veicolo d’Epoca 2022

DOMENICA 16 OTTOBRE 2022
 
EVENTI E INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA E A MANTOVA IL “NUVOLARI DAY” PER CELEBRARE IL “MANTOVANO VOLANTE” NEL SUO 130° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA

 

Domenica 16 ottobre verrà celebrata in tutta Italia la “Giornata Nazionale del Veicolo d’Epoca”, iniziativa promossa da ASI sin dal 2018 per promuovere sul territorio il patrimonio storico, tecnologico e culturale rappresentato dal motorismo storico. L’Automotoclub Storico Italiano è il riferimento nazionale per il settore e con la “Giornata Nazionale del Veicolo d’Epoca” mobilita gli appassionati per creare decine di opportunità sociali e di intrattenimento. I Club Federati ASI di tutta Italia organizzano raduni, esposizioni, mostre tematiche e convegni per raccontare la storia del motorismo in un clima di festa e di condivisione.
 
Mantova sarà il fulcro delle celebrazioni grazie al “Nuvolari Day”, evento organizzato dall’Associazione Mantovana Auto Moto Storiche “Tazio Nuvolari” e dedicato ai 130 anni della nascita dell’indimenticabile “mantovano volante” (16 novembre 1892). La giornata sarà caratterizzata da un tour sulle strade del “Nivola”, con il ritrovo dei veicoli storici a Mantova, nella splendida cornice di Palazzo Te, e successiva tappa a Villa Favorita di Porto Mantovano dove alle 11.30 si terrà dedicata a Tazio Nuvolari. Da qui si ripartirà in direzione Castel d’Ario, paese natio del grande pilota, dove i veicoli rimarranno esposti in Piazza Castello. Il “Nuvolari Day” vede il coinvolgimento di tutti i Club Federati ASI della Lombardia.
 
“La Giornata Nazionale del Veicolo d’Epoca – sottolinea il presidente dell’ASI Alberto Scuro – è un appuntamento rivolto all’opinione pubblica per puntare i riflettori sul patrimonio tecnico e culturale del motorismo storico, eccellenza italiana che non ha pari al mondo. Un settore che è industria sociale, capace di coinvolgere gli ambiti più disparati del quotidiano individuale. A partire dall’indotto diretto, rappresentato da tutta la filiera professionale che gravita intorno ai veicoli storici, fino al corposo indotto indiretto nel quale rientrano, ad esempio, tutte le attività legate al turismo, all’accoglienza, alla cultura. Quest’anno siamo particolarmente orgogliosi di puntare i riflettori su un personaggio come Tazio Nuvolari: una leggenda conosciuta in tutto il mondo che fa parte dell’immaginario collettivo come simbolo italiano positivo e vincente”.

Storia della Gara Automobilistica Piombino-Livorno 1901

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Articolo tratto dal sito: piombinolivorno1901.org

 

piombino-livorno (1)Tutto ebbe inizio nel luglio del 2012 con una telefonata, giunta dagli Stati Uniti, dal giornalista  italoamericano Antonio Lombardi, che  chiedeva  dettagli sulla  corsa automobilistica Grosseto-Livorno, del lontano 1901. Non ne avevamo mai sentito parlare; lo stupore si trasformò subito  in entusiasmo  quando Lombardi raccontò che la gara  fu vinta  dal pilota  Felice Nazzaro, al suo debutto.
Iniziammo una paziente ricerca alla  biblioteca di Livorno, consultando le copie de “La Gazzetta Livornese” dell’epoca e anche negli gli archivi del giornale Il Tirreno per trovare notizie della corsa su  “Il Telegrafo” (così si chiamava all’epoca il quotidiano livornese).
Arrivammo così ai resoconti giornalistici che ci fornirono interessanti notizie e che ci permisero di definire meglio l’evento: Innanzitutto la partenza avvenne da Piombino a causa delle abbondanti precipitazioni che resero la strada nei pressi di Grosseto impraticabile;  il percorso previsto  di 150 km fu così  ridotto a  82 km.
Poi scoprimmo che fu proclamato vincitore il conte Camillo della Gherardesca, che era il proprietario della vettura (una F.I.A.T. 12 HP Corsa), pilotata in effetti da Felice Nazzaro, appena assunto dalla nascente industria torinese. Si usava così!
Fu un grande successo anche per la FIAT, fondata appena due anni prima, che riuscì sorprendentemente a vincere, sbaragliando anche la potente Panhard Levassor 32HP
Anche nell’archivio storico del Comune di Piombino trovammo materiale: la delibera di Giunta relativa alla corsa e alcune preziose fotografie della partenza.
E’ molto strano che non abbiamo trovato traccia di questo avvenimento su libri di storia dell’automobilismo e su materiale edito promozionale edito dalla stessa Fiat, tranne un brevissimo accenno su “ Storia dell’Automobilismo Toscano” di Leonardo Ginori Lisci e “Lampi sul Tirreno” di Maurizio Mazzoni.

L’evento motoristico, organizzato dal Comitato per le Feste Livornesi  prevedeva per sabato 24 agosto la gara di resistenza da Piombino a Livorno, domenica 25 alle ore 10 una sfilata da Antignano al Cisternone, lunedì 26 alle ore 10 la corsa di accelerazione di 500 metri ad Antignano  ed alle ore 17 una gara di dirigibilità alla rotonda dell’Ardenza.

I veicoli iscritti alla corsa vennero divisi per categorie: Iᵃ categoria, grosse vetture oltre 1.000 kg, IIᵃ categoria, vetture leggere meno di 1.000 kg, IIIᵃ categoria, vetturette fino a 450 kg, IVᵃ categoria  tricicli e Vᵃ categoria motocicli.

Vincitori “Gran Premio Sua Maestà il Re” gara di velocità da Piombino a Livorno, 82 km, 24 agosto 1901:

Iᵃ categoria, vetture oltre 1.000 kg : Felice Nazzaro su Fiat 12HP Corsa in 1,49’54media 44,77 km/h

IIᵃ categoria, vetture sotto i 1.000 kg: Galileo Serafini su Panhard  in 2.08’57 media 38,15 km/h

IIIᵃ categoria, vetturette, meno di 450 kg: Edoardo Werheim su Darracq  in  2.02’07    media 40,29 km/h

IVᵃ categoria, tricicli: Gaston Osmond su De Dion  in  2.08’57    media 38,15 km/h

Vᵃ categoria, motociclette: nessuno arrivò al traguardo, Renzo Mazzoleni su Ceirano si ritirò a Vada mentre l’ing. Emanuele Rosselli su Rosselli di sua fabbricazione si ritirava dopo la partenza per la difficoltà sulla strada che era ridotta ad una palude a causa del maltempo.

Gara di accelerazione, Antignano, metri 500, 26 agosto 1901:

Iᵃ categoria, vetture oltre 1.000 kg : Felice Nazzaro su Fiat 12HP in 25’’   media 72 km/h

IIᵃ categoria, vetture sotto i 1.000 kg: Fiamberti su De Dion in 31’’ media 58,064 km/h

IIIᵃ categoria, vetturette, meno di 450 kg: Edoardo Werheim su Darracq    32’’ media  56,250 km/h

IVᵃ categoria, tricicli: Gaston Osmond su De Dion  21’’1/5 media  84,905 km/h

Vᵃ categoria, motociclette: Renzo Mazzoleni su Carcano in 26’’1/5  media  68,702 km/h

piombino-livorno (2)La corsa non ebbe incidenti e fu un grande successo (come riportato dalle cronache del tempo) nonostante, ad Antignano, il tram continuasse il suo servizio durante la gara di accelerazione, con evidente pericolo .
L’evento ebbe anche una risonanza mondana con discorsi, brindisi, rinfreschi e la fastosa premiazione finale, con medaglie e premi in denaro.
Alcuni appassionati motoristi affluirono da località lontane; gustosa è la relazione del viaggio a Livorno da Torino che Carlo Biscaretti di Ruffia (padre del collezionismo italiano e futuro fondatore del Museo dell’Automobile di Torino) fece, con il padre, sulla vetturetta di famiglia.
La Piombino Livorno fu la prima corsa ufficialmente organizzata in Toscana; fino ad allora le uscite con automobili erano solo scampagnate con sporadiche sfide fra i gentiluomini. Dopo questo evento le competizioni si diffusero rapidamente ( la più famosa fu la Coppa della Consuma promossa dal marchese Ginori) e contribuirono alla diffusione dell’automobile, veicolo che all’inizio del secolo scorso rivoluzionò la mobilità dell’uomo.
La rievocazione della Piombino – Livorno sarà l’occasione per ricordare una corsa dimenticata e far rivivere  un evento che segnò l’inizio dello sport motoristico in Toscana.

Proposte per l’ASI

Considerazioni su certificati ASI e revisioni mezzi pre 1960:

Proposte per l’ASI

 

Penso che sarebbe utile e auspicabile poter fare richiesta di Certificato d’identità (Targa Oro) e Certificato di Rilevanza Storica utilizzando un modello unico che comprenda entrambe le domande. Infatti, senza voler confondere il prestigio particolare del CDI con quello del CRS o dell’ADS, visto che i dati occorrenti sono simili e le foto spesso sovrapponibili, trovo incomprensibile dover riempire due moduli di domanda e stampare le foto due volte, considerando anche il tempo che ci vuole a fare tutte queste cose.

In realtà, infatti, anche se in teoria la compilazione della domanda dovrebbe essere onere del socio richiedente, posso assicurare che spesso ricade sulle spalle del commissario tecnico di Club, che non lo fa per lavoro, come spesso i tesserati pensano, ma quando toma dal suo lavoro.

Che senso può avere, nel caso di veicolo non in possesso di documenti ASI prima del 19 marzo 2010, conseguire il CDI ma non il CRS?

Facendo un paragone in termini scolastici, potremmo definire l’ADS la licenza media del veicolo, il CRS il diploma e il CDI la laurea.

Una volta conseguita la laurea dovrebbe essere dato per scontato il conseguimento della licenza media e del diploma; se, nella richiesta di CDI (nella sostanza la più difficile da compilare perché più analitica) non sono stati previsti alcuni campi nella sezione dati tecnici (come gli sbalzi, la lunghezza o la descrizione della fanaleria), basterebbe aggiungerli dall’altro modulo con un copia-incolla, cosicché, superata la prova del CDI, il CRS e l’ADS fossero rilasciati d’ufficio.

Altro argomento che andrebbe preso in considerazione è quello delle revisioni dei veicoli storici costruiti prima del 1960, che devono essere obbligatoriamente eseguite presso le sedi della Motorizzazione Civile.

Il problema è che la normativa che disciplina la procedura di prova per la verifica del funzionamento dell’impianto freni di servizio degli autoveicoli di interesse storico e collezionistico la cui data di costruzione è antecedente all’1.1.1960 dice che le prove di frenatura POSSONO essere effettuate mediante la valutazione del valore di decelerazione media ottenuto con il veicolo in ordine di marcia solo con il conducente (vedi pag. 306 Volume Veicoli Storici – autori vari con il coordinamento di Emanuele Biagetti). Dire che le prove POSSONO è diverso dal dire che le prove DEVONO essere fatte in tal modo. Quindi in motorizzazione continuano a fare le prove mettendo le vetture sui rulli. Bisognerebbe urgentemente effettuare questa semplice modifica nella normativa. Per esempio, invece, è chiaro che il freno di stazionamento (a mano) DEVE essere controllato con prova statica: infatti lo verificano con prova statica. Se la normativa stabilisse che il freno di stazionamento POTESSE e non DOVESSE essere verificato con prova statica, sono sicuro che effettuerebbero la prova sui rulli anche per il freno di stazionamento (come facevano prima).

Il fatto è che queste povere vecchiette, tutte le volte che sono sottoposte a revisione, vengono inutilmente strapazzate come se in un giorno percorressero 1000 km.

Il bello poi è che se un veicolo non è certificato ASI e quindi non è definito come di interesse storico, può fare la revisione presso le officine autorizzate anche se è ante 1960. Ma perché nessuno, vista oltretutto l’esigua percorrenza di questi mezzi, cerca di fare in modo che le officine autorizzate possano di nuovo occuparsi anche delle revisioni ante – 60 anche per i veicoli ASI?

Sandro Vaghetti

Riflessioni sul tempo che passa

A cura di Sandro Vaghetti


Sandro e Marco Fiat 500 D 

Per noi delle auto storiche, per me di sicuro, penso che il rapporto con il tempo che passa sia particolare, diverso. Il mondo cambia in fretta e non è già più quello del 1994, l’anno in cui acquistai la mio primo catorcino del 1963. Tanto per cominciare, a parte dovute eccezioni, si viveva ancora senza telefonino e personal computer.

Eppure cercavo già qualcosa del mio passato, anche quello ancora così diverso, che mi era rimasto nel cuore e che volevo conservare a futura memoria: cosa di meglio di un’auto protagonista del film della mia infanzia?
Nel restaurare quel pezzo di ferro, cerchi di far rivivere e far durare a lungo qualcosa che sarebbe andato perduto per sempre, quindi, a posteriori, è un tentativo semi consapevole di restaurare anche te stesso, facendo venire a galla durante la ricerca dei particolari e poi durante l’uso del veicolo resuscitato, pezzi di te e della tua memoria che sembravano spariti, ma che invece dormicchiavano e basta.

Certo che, se da un lato, questo continuo rapportarsi con gli anni passati (che è diventato ormai uno studio, almeno per me come commissario tecnico, che passo e ripasso le date e i cambiamenti nei modelli di auto e moto) è appassionante, dall’altro lato è anche un po’ logorante, quando penso che sto conservando qualcosa che probabilmente mi sopravviverà e rimarrà per quelli che verranno dopo.

Mi chiedo conseguentemente se ci sarà in futuro interesse per queste cose, che potrebbero invece essere considerate come l’incarnazione o il germe scatenante dell’inquinamento del pianeta e quindi suscitare sentimenti di odio e riprovazione opposti a quelli che sono stati i miei.
Tanta passione è accompagnata da un po’ di inquietudine: vedo le mie auto storiche sempre più belle e curate, mentre io sono sempre più sgangherato e spero di superare la revisione quando vado a fare gli esami del sangue.

Poi, quando leggendo Quattroruote vedo che, nelle prove delle vetture, si dedica (giustamente) molto spazio all’INFOTEINMENT, caratteristica della quale, invece, volendo usare un gioco di parole, su un’auto, non me ne FOTTENIENT, mi dico che comincio a perdere qualche colpo e non sono più al passo con l’attualità.
L’unica certezza che ho è che mia moglie che mi vuole bene non mi porterà dallo sfasciacarrozze, dopo di che questa passione fa aprire un altro discorso, quello della fede, e non è poco.

 

Le auto degli Anni ’60 e ’70

A cura di Sandro Vaghetti


Ho scelto di trattare il periodo degli anni 60 e 70 perché lo ritengo un momento magico per il mondo dell’auto e anche perché, essendo io nato appunto nel 1960, rappresenta per me l’occasione di rispolverare grandi scoperte, emozioni ed indimenticabili ricordi della mia vita. L’automobilismo di quell’epoca era un fenomeno interessantissimo, in quanto stava cominciando a diffondersi e a diventare popolare.

Come nella mia mente di bambino e poi di ragazzo, anche in questa nuova realtà dell’automobile c’era molto da scoprire e da imparare: la conoscenza e l’esperienza erano ancora molto limitate e le soluzioni tecniche erano ancora affidate alla fantasia ed all’intuito dei progettisti.

Il valore storico delle vetture popolari di questo periodo è da ricercare più in ciò che esse hanno rappresentato e permesso di fare che per il loro intrinseco contenuto ingegneristico, che, se notevole allora, appare oggi, all’epoca del computer, senz’altro superato.

Quello che è venuto fuori dalle matite dei disegnatori, nel bene e nel male, è sicuramente andato ben al di là della loro immaginazione e di quella dei relativi ignari utenti, che hanno quasi improvvisamente avuto la possibilità di spostarsi autonomamente per lavoro e nel tempo libero, visitando luoghi mai visti prima liberamente e in modo nuovo, scoprendo l’affascinante e gratificante gusto della guida; il veicolo acquistato è stato da molti considerato come un animale domestico da coccolare e accudire, divenendo a volte come un prolungamento di sé stessi.

Mentre le maggiori preoccupazioni per chi studiava il progetto di una nuova utilitaria era di contenere il più possibile la quantità di acciaio impiegata per vettura, l’acquirente cercava di far sembrare la propria auto simile a quella del segmento superiore, sopperendo con vistosi accessori ricchi di cromature luccicanti e con le gomme a fascia bianca all’economia imposta dal costruttore.

Svariate e molto apprezzate le Carrozzerie, che personalizzavano le auto di serie, o solo impreziosendole con aggiunte di cromature e fregi ornamentali, o caricando il muso delle vetture a motore posteriore con vari orpelli come le finte ed inutili mascherine copriradiatore e prolungando le fiancate con pinne posticce; frequentemente dotavano le loro creature di corpi vettura completamente ridisegnati sul pianale d’origine, magari scimmiottando le vistose e opulente auto americane.

A volte era possibile ottenere più velocemente un modello fuori serie rispetto alla vettura prodotta dalla Casa, se si era disposti a sobbarcarsi il maggior prezzo di acquisto.

Il prezzo del prodotto finito era legato strettamente al peso del veicolo, dato il basso costo della manodopera; studi accurati furono fatti dall’Ingegner Dante Giocosa, padre di tutti i modelli FIAT per un lunghissimo periodo, sia sul modello 100 che sul 110, (commercialmente rispettivamente 600 e nuova 500) per ottenere con la curvatura delle lamiere e la loro bombatura, il maggior spazio interno con il minor ingombro esterno e il minor quantitativo di acciaio; la 500 pesava cinquecento Kg e costava circa 500.000 Lire, la 600 seicento Kg e costava circa 600.000 Lire, la 1100 una tonnellata e costava circa 1.000.000.

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Era un periodo nel quale regnava l’entusiasmo e si insinuava la voglia di cambiamento e modernità , lasciata alle spalle la brutta parentesi non ancora così lontana della seconda guerra mondiale, e i nuovi argomenti trattati nella autorevole rivista di settore, QUATTRORUOTE, che era anche l’unica esistente, riguardavano il già alto costo del carburante, il problema della circolazione nei grossi centri urbani, i parcheggi.

Nella rubrica “La Voce dei Lettori” si assisteva spesso a vivaci scambi di opinione tra persone che si rivelavano autentiche macchiette: manifestavano la loro insofferenza nei confronti dei pedoni e degli automobilisti troppo lenti, oppure il loro timore per l’eccessiva velocità dei “pirati della strada”

Uno di questi lettori, per esempio, che si definiva un abile e moderno pilota, suggeriva, senza tema di esser preso per matto, di velocizzare la circolazione automobilistica innalzando, nei centri urbani, dei muri sui bordi esterni dei marciapiedi, aprendo piccoli varchi solo in prossimità delle strisce pedonali, sulle quali inserire un circuito di corrente elettrica a bassa tensione, in modo da sollecitare il veloce attraversamento dell’odiato pedone, che, indugiando, avrebbe sentito più a lungo la scossa.

Altro frequente oggetto di discussione era quello relativo alla sempre maggior diffusione sulle auto della guida a sinistra.

In molti, specialmente i più anziani e conservatori, si lamentavano del progressivo abbandono della guida a destra, che aveva tra i maggiori vantaggi quello di poter meglio calcolare la distanza dal marciapiede e dal ciglio della strada e di poter uscire dall’auto dalla parte meno esposta al traffico, ma aveva il suo lato negativo nella scarsa visibilità offerta in caso di manovra di sorpasso in strade a due sole corsie, e fu questo che ne decretò la scomparsa man mano che la velocità e la potenza aumentarono.

Del resto la LANCIA, fino all’introduzione del modello APPIA seconda serie offriva normalmente la guida a destra, e, nella sua gamma, i modelli denominati “S” non erano quelli più sportivi ma quelli richiesti con guida a sinistra.

Anche le altre Case, comunque, a richiesta, fornivano le vetture con guida a destra per le persone abituate alla guida vecchia maniera, e i mezzi pesanti, che erano molto lenti, avevano tutti la guida a destra per legge.

Alcune ricorrenti caratteristiche delle auto di allora fanno oggi tenerezza, come ad esempio le portiere a vento, ribattezzate in seguito SUICIDE DOORS per la loro pericolosità in caso di chiusura imperfetta durante la marcia, in quanto anche a bassa velocità tendevano a spalancarsi e a trascinare fuori dall’abitacolo il malcapitato ed impreparato passeggero aggrappato istintivamente alla maniglia interna od al bracciolo; tipo di portiera amato però da chi voleva osservare le gambe delle signore che scendevano dall’auto e dai progettisti che riuscivano a trovare al centro della scocca un sostegno più robusto e semplice, per installare le cerniere.

Su “QUATTRORUOTE”, sono state dedicate pagine espressamente alle signore e signorine, nelle quali si spiegava dettagliatamente, con tanto di sequenze fotografiche, come fare – e come invece non fare – per uscire dall’auto con porte a vento, senza assumere pose che potessero essere considerate sconvenienti, maliziose e provocanti. I consumatori sperimentavano sulla propria pelle i difetti di progettazione e di costruzione, stimolando così il perfezionamento dei modelli.

È così che a circa metà anni 60 fu varata una norma che vietava l’omologazione dei nuovi modelli adibiti al trasporto di persone (ma non merci o promiscui) che avessero l’apertura degli sportelli in senso contrario alla marcia, tant’è che prontamente la FIAT sfornò prima la nuova serie di 600 e poi di 500 con il senso di apertura porte ruotato, mentre la Giardiniera continuò ad essere venduta con il vecchio sistema fino al 1977; anche le vetture costruite su licenza all’estero continuarono a produrre il vecchio tipo di carrozzeria in modo da consentire l’esaurimento scorte e stampi. (ad esempio SEAT in Spagna).

La FIAT era indiscutibilmente la protagonista essenziale dello sviluppo della motorizzazione automobilistica nazionale così come la PIAGGIO e la INNOCENTI di quella delle due ruote nel settore degli scooter VESPA e LAMBRETTA, motociclette carenate che consentivano di viaggiare senza sporcare gli indumenti indossati e di avere un certo riparo dal vento.

ll panorama automobilistico era molto diverso da quello odierno: le vetture straniere erano contingentate e le importazioni limitate da dazi imposti alla frontiera, ad ogni modo la qualità della nostra produzione era senz’altro decorosa e l’affidabilità meccanica competitiva in confronto alla concorrenza; la promozione delle vendite furono attuate con i primi finanziamenti rateali con pacchi di cambiali, che favorirono una diffusione altrimenti impensabile.

Alcuni modelli nostrani si distinguevano anche all’estero per la loro eccellenza: superlativo fu il lavoro svolto dagli Staff ALFA ROMEO e LANCIA, che si rivolgevano però a segmenti di clientela di classe più elevata ed esigente: gli amanti delle prestazioni pure e della sportività aggressiva di solito sceglievano l’ALFA che, motoristicamente, con il suo bialbero non aveva rivali, invece coloro che privilegiavano eleganza e raffinatezza unite a brillantezza di marcia normalmente preferivano la LANCIA, con le sue prestigiose finiture.

L’ALFA ROMEO, inoltre, sul fronte della sicurezza e dell’aerodinamica ha compiuto degli studi efficacissimi, in particolare dal modello GIULIA del 1962 (che fu nominata “L’auto disegnata dal vento”) in poi: si arrivò alla produzione della scocca a struttura di rigidità differenziata: in caso di incidente la parte anteriore e quella posteriore dovevano deformarsi in maniera progressiva per assorbire l’urto attutendo le conseguenze per gli occupanti l’abitacolo che doveva invece rimanere integro, permettendo l’agevole apertura delle portiere in modo da agevolare gli eventuali soccorsi.

Con il nuovo studio della “Galleria del Vento si scoprì inoltre che la coda tronca, contrariamente a quanto si riteneva, migliorava il coefficiente di penetrazione aerodinamica e si otteneva più velocità a parità di potenza. Questa scoperta troverà conferma anche alla FIAT con il lancio della 850, che, con quel terzo volumetto posteriore, risultò sensibilmente più veloce dei prototipi che utilizzavano la carrozzeria della 600, che, per avvicinare i suoi valori di velocità massima, dovevano viaggiare con il cofano motore posteriore parzialmente aperto.

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La LANCIA iniziò coraggiosamente col Tipo FLAVIA del 1960 e successivamente col FULVIA del 1963 lo studio della trazione anteriore applicata a modelli di serie, prendendo in contropiede una FIAT che, guidata con una mentalità dirigenziale conservatrice, l’aveva sempre avversata nonostante il parere favorevole di Giacosa, e che, obtorto collo, autorizzò i primi studi e collaudi soltanto in seguito con i modelli PRIMULA, AllleA112e con il marchio AUTOBIANCHI per non compromettersi troppo in caso di insuccesso; quando invece ci si accorse dello strepitoso successo, e si era ormai nel 1969, fu avviata la produzione della rivoluzionaria 128 che fece anche da scuola alla VOLKSWAGEN per la GOLF e da apripista per la piccola ALFA ROMEO ALFASUD nei primi anni 70.

Entrando nel nuovo decennio, io crescevo e anche l’automobilismo maturava; non entravo più nella mia automobilina a pedali della Giordani regalatami negli anni 60 e mi organizzavo girando per casa tenendo in mano dei tappi di fustino dei detersivi su cui avevo disegnato i volanti dei modelli di auto che più mi piacevano, imitandone il rumore con la bocca, infatti ogni macchina allora aveva il suo ed era riconoscibile dall’appassionato anche ad occhi chiusi: la Volkswagen con lo sfarfallio, la 500 tremolante, la 124 che sembrava sempre smarmittata, la Giulia che borbottava pazientemente ai bassi regimi, in attesa di scatenarsi con un ruggito a quelli alti.

Grandi passi avanti erano stati fatti nella tecnica nella frenata: gradualmente i freni a disco soppiantano quelli a tamburo almeno sull’avantreno, la trazione anteriore con motore disposto trasversalmente anziché longitudinalmente viene adottata sulle vetture medio -piccole, migliorando così la tenuta di strada delle auto di tutti i giorni, grazie anche alla aumentata sezione dei pneumatici e all’abbassamento generale del baricentro; le forme delle auto, da ingenuamente tondeggianti, diventano più razionali e squadrate, aumentano le superfici vetrate per consentire una migliore visibilità, specialmente in manovra; da questo punto di vista, oggi stiamo purtroppo tornando indietro , un po’ per moda, un po’ per rendere la struttura più resistente alle prove di crash.

I motori diventano più silenziosi e prestanti grazie al sempre più diffuso sistema di comando della distribuzione ad albero a camme in testa, magari con relativo comando a cinghia dentata anziché a catena, con conseguente eliminazione dei problemi legati alla regolazione dei giochi di quella ad aste e bilancieri, strutturalmente più tendente ad essere rumorosa.

Negli anni 70 l’auto cominciava a dimostrare insomma una certa maturità e molte vetture di casa nostra erano tra le migliori, più avanzate meccanicamente e più invidiate; circolavano infatti affidabilissime berline e sportive da esse strettamente derivate, come la Fulvia, la Giulia e la 125 Special, tutte dotate di motori di alta potenza e rendimento, cambio a 5 marce, freni a disco servoassistiti sulle quattro ruote, con un livello di sicurezza oltre che di confort molto elevato rispetto allo standard europeo ed americano: le cilindrate comprese tra i 1300 e i 1600 c.c. e le rispettive potenze tra gli 85 e i 100 Cavalli DIN facevano loro superare i 160 Km/h ed ottenere medie velocistiche di tutto rispetto nei lunghi viaggi, sulle nuove autostrade, anche paragonandole alle vetture di oggi.

Purtroppo la scarsa protezione anticorrosione della carrozzeria ne ha condizionato drasticamente la durata e conseguentemente limitato il numero di esemplari sopravvissuti.

La vettura più sfortunata in questo senso è stata sicuramente l’Alfasud, che avrebbe meritato un diverso destino: probabilmente sulla carta la miglior media a trazione anteriore, era dotata di un motore boxer (a cilindri orizzontali contrapposti) di cilindrata modesta ma di altissimo pregio costruttivo, compatto, brillante e molto robusto, di un cambio e uno sterzo meravigliosi per precisione e dolcezza, un’ottima abitabilità e quattro freni a disco: essa vantava una tenuta di strada fantastica e una velocità di punta elevata, grazie anche alla buona aerodinamica; peccato che già dopo pochi mesi la corrosione dei lamierati era già devastante e irreversibile, in quanto le lastre d’acciaio erano già arrugginite prima di essere verniciate poiché abbandonate a lungo alle intemperie nei piazzali in attesa della costruzione dei veicoli.

Con l’ultima serie, questi problemi erano stati del tutto eliminati, ma oramai era tardi: la cattiva fama che il modello si era fatto scoraggiava spesso l’acquisto, anche perché il progetto cominciava a sentire il peso degli anni.

Quando, nel 1973, la crisi petrolifera travolse il mondo dell’auto, si ebbe il breve e suggestivo periodo della cosiddetta AUSTERITY, durante il quale, per consentire il risparmio di carburante il cui prezzo andò alle stelle, fu fatto divieto di usare le auto private durante i giorni festivi.

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Mi ricordo sempre di quando, la domenica, in famiglia, uscivamo a piedi o in bicicletta in un mondo irreale dove le auto erano tutte ferme ai lati della strada, e circolavano solo taxi, autobus e autocarri; non durò molto, infatti la legge fu modificata e si consentì la circolazione a targhe alterne: una domenica le pari, la successiva le dispari.

Chi poteva cercò di avere a disposizione due auto con targhe complementari, per non rimanere a piedi: ci fu un significativo improvviso incremento di denunce di smarrimento targhe e di tentativi di prenotazione dell’ultima cifra della targa presso la Motorizzazione o la Concessionaria all’atto di nuove immatricolazioni; non si poteva correre il rischio di ritrovarsi con due macchine aventi entrambe targa pari o dispari, gli amici ti avrebbero dato del “bischero”!

Andando avanti nel decennio, si arriva ad un appiattimento dell’originalità nella produzione, escono nuovi modelli forse più “pensati” ma meno sentiti e affascinanti, dalle prestazioni spesso mortificate per contenere i consumi, soprattutto allungando semplicemente il rapporto al ponte della trasmissione; sembra prevalere una sorta di stanchezza e diminuisce l’euforia.

Anche se nel 1978 presi la tanto sospirata patente, il mio interesse per i motori subì una certa flessione, anche perché altri argomenti con meno ruote ma più gambe avevano comincialo ad occupare da tempo la mia attenzione; raggiunti gli anni 90, dopo anni in cui il lavoro e gli impegni quotidiani mi hanno un po’ distratto dalla passione antica, mi sono imbattuto in una povera Fiat 500 D appartenuta alle suore di un convento ed in una Fiat 1100 per anni apparentemente abbandonata nel centro di Grosseto, e la malattia di un tempo mi ha di nuovo contagiato facendomi tornare la febbre alta.

Fortunatamente ho una moglie d’oro che mi ha lasciato libero di procedere all’acquisto e al restauro di queste carrette e anche di altre; non voglio guarire da questa rara e piacevole malattia e lei non tenta di curarmi, meno male!

Con simpatia,
Sandro Vaghetti

Auto che hanno fatto storia: Fiat 600

Riportiamo di seguito un articolo di Luigi Castellani
pubblicato originariamente sul sito web retrovisore.it

FIAT 600, sessanta candeline tra storia e nostalgia

 

La più amata dagli italiani



La FIAT 600, per la propria importanza nella storia dell’automobile, può essere accostata alla Mini ed al Maggiolino. Così come la Mini ebbe le sue versioni sportive, l’italiana costituì la base per le elaborate siglate Abarth, mentre con la VW condivise il ruolo di auto del popolo, protagonista della motorizzazione di massa di intere nazioni. La piccola FIAT adottava la soluzione tutto dietro, come il Maggiolino, anche se le due vetture presentavano soluzioni motoristiche quasi antitetiche (boxer raffreddato ad aria per la VW a fronte di un tradizionale quattro cilindri in linea raffreddato ad acqua per la FIAT). La 600 sostituì la Topolino nel listino FIAT, una vettura importante, che aveva rappresentato il primo tentativo dell’industria italiana di offrire al mercato un’automobile accessibile al grande pubblico. A sottolineare la sua vocazione di auto per tutti, la 600 aveva un prezzo inferiore alla Topolino, sulla breccia fin dagli anni ’30 ed ormai urgentemente candidata alla pensione. L’esordio della 600 avvenne al Salone di Ginevra del 1955, la tecnica che la caratterizzava era moderna, potendo contare sulla carrozzeria autoportante e sulle sospensioni a quattro ruote indipendenti. Era la risposta giusta alla domanda di automobili che, molto presto, sarebbe cresciuta in modo impressionante sulla scia del boom economico.

Se per molti, nell’Italia dell’immediato dopoguerra, il bisogno primario era il sostentamento oltre alla necessità di avere un tetto, dieci anni dopo si affermava l’esigenza della mobilità individuale e la possibilità per le famiglie di andare in gita la domenica, in altre parole arrivava il benessere, che sempre si accompagna alla domanda di un’automobile per tutti (si pensi all’India o alla Cina degli anni 2000), da intendersi come sinonimo di libertà. La 600 quale ambasciatrice della libertà individuale é stata fotografata in una miriade di film prodotti nel periodo della sua commercializzazione, che in Italia si protrasse per quindici anni a partire da quel 1955, mentre in altri mercati durò assai più a lungo. La piccola FIAT 500 é un capolavoro di industrial design e, se prescindiamo dalle moderne esigenze in fatto di sicurezza e crash test, é una vettura eccezionalmente riuscita nella misura in cui riuscì a tradurre le specifiche di progetto in un veicolo che, ancora oggi, rappresenta un miracolo di abitabilità. La 600 non é altrettanto minimalista e si posiziona un segmento più in alto, potendo contare -tra l’altro- su due cilindri in più rispetto alla 500 (giunta sul mercato solo nel 1957). Sul numero di Auto Tecnica di novembre 2014 abbiamo parlato di un altro sessantesimo compleanno, quello dell’Alfa Romeo Giulietta, nata solo un anno prima della 600, cioé nel 1954. Lo abbiamo fatto anche ricordando l’importanza del lavoro italiano che, solamente dieci anni dopo le distruzioni della seconda Guerra Mondiale, aveva permesso una rinascita industriale tale da poter produrre sia automobili eccezionali come l’Alfa, nelle sue varie declinazioni, sia una piccola vettura di grande serie come la FIAT 600 (un impegno probabilmente ancora più complesso in ragione delle specifiche tecniche assai stringenti, come sempre si verifica per le utilitarie).

La 600, dunque, ha lasciato il segno perché vettura carica di significati, da quello propriamente tecnico (relativo cioé al progetto), all’ineguagliato impatto sociale, al fatto di essere icona di una storia industriale, quella della FIAT e dell’Italia del dopoguerra, avviata verso il miracolo economico. Il cinema italiano che va dalla fine degli anni ’40 all’inizio dei ’70 accompagnò, con le sue diverse tendenze ed interpreti, la rinascita ed il successivo boom economico del Paese. L’utilitaria torinese é protagonista assoluta di quel cinema a partire dal 1955 in poi, con alcuni esempi particolarmente pregnanti. A noi piace ricordare “I Mostri”, film a episodi del 1963 che, da solo, costituisce uno spaccato impietoso quanto divertente di un’Italia in evoluzione, assai egoista in certe sue manifestazioni, ma pur sempre umanissima. Ugo Tognazzi, che con Vittorio Gassmann é protagonista e mattatore del film, nell’episodio “Vernissage” compra una 600 presso una filiale FIAT, dove le vetture in pronta consegna sono “impacchettate” come sardine in lunghe file. Un fenomeno all’interno del fenomeno 600 fu rappresentato dalle ambitissime, oggi come ieri, versioni preparate Abarth, tra cui le celebri Abarth 850 TC, 850 Nürburgring e “1000”. Queste mini-bombe su quattro ruote, interessantissime dal punto di vista concettuale e delle prestazioni, possono essere considerate idealmente le antenate di vetture come le Abarth odierne ma anche, ad esempio, della Golf GTI degli anni ’70.

 

Utilitaria per eccellenza



Il cuore della 600 é il motore tipo 100 (quello delle prime tre serie), di cilindrata complessiva pari a 633 cm3, un quattro cilindri raffreddato ad acqua che avrà lunga vita e numerosi sviluppi tecnici. La potenza della prima versione era di 21,5 cavalli a 4.600 giri al minuto, sufficiente per spingere l’utilitaria a 90 km/h. Con questa motorizzazione la 600 poteva trasportare, non senza un certo confort, quattro persone con un bagaglio di 30 chilogrammi. Dopo un anno dall’esordio comparvero due varianti di carrozzeria, quella a tetto apribile (trasformabile) e l’originale Multipla che, in anni recenti, ha ispirato un’altra FIAT che ha portato il suo stesso nome. La Multipla del 1956 non era bella a vedersi, a causa del muso alto e schiacciato, ma può tutt’ora definirsi geniale e, certamente, assai versatile.

Queste doti e la sua robustezza ne faranno un modello di successo nel ruolo di auto pubblica e, per molti anni, le Multipla in allestimento taxi saranno un elemento comune nel traffico delle nostre città, con la caratteristica livrea verde/nero dei taxi italiani. Dopo le prime tre serie, dotate del motore tipo 100, ne seguiranno altre tre, introdotte a partire dal 1960, spinte dal nuovo motore tipo 100 D, con cilindrata incrementata a 767 cm3. Per questa ragione la denominazione della vettura diviene 600 D anche se, nell’Italia di quegli anni, era molto usata la dizione “750”. Per la mentalità degli automobilisti del 1960, infatti, era importante oltre che gratificante sottolineare l’incremento di cilindrata della vettura posseduta, per quanto si trattasse sempre di cilindrate modeste. Per questo motivo, invece di “600 D”, si preferiva dire “750” e si giungeva anche a sostituire la scritta posteriore con altre, reperibili nei negozi di accessori, con l’indicazione esplicita della cilindrata.

Anche la Multipla e la versione taxi ricevettero il motore tipo “D”, mentre la berlina fu dotata di deflettori. L’incremento di cilindrata era ottenuto portando i valori di alesaggio e corsa dagli originari 60X56 mm a 62X63,5 mm mentre la potenza cresceva fino al valore di 29 CV CUNA a 4.800 giri/min. (é sempre bene indicare le norme con le quali é stata misurata la potenza massima, perché i dati possono differire secondo la normativa impiegata). Grazie all’incremento di potenza la velocità massima era ora di 110 km/h. La 600 D era un po’ più pesante del modello degli esordi, infatti il peso a vuoto passava da 585 kg a 605, quello a pieno carico da 895 kg a 925 kg. Nell’ambiente dei “seicentisti” si é affermata la prassi di indicare le diverse serie della vettura con sigle che vanno da B1 a B6. Le sei serie si ottengono sommando le prime tre (versioni con cilindrata di 633 cm3 dotate del motore “tipo 100”) e quelle comunemente chiamate “750” (versioni con cilindrata di 767 cm3 dotate del motore “tipo 100 D”).

Complessivamente, nel periodo 1955-1969, sono state prodotte 2.695.197 unità delle diverse varianti succedutesi, prendendo in esame solamente la produzione italiana. Ben più elevato il totale comprensivo della produzione mondiale, comprendente le vetture assemblate in Yugoslavia (Zastava), Spagna (SEAT), Germania (Neckar) e Sud America (Argentina e Cile), che viene stimato nella cifra di 4.939.642 unità. In alcuni casi la produzione arriverà fino agli anni ’80 inoltrati, come nella ex-Yugoslavia.

 

Evoluzione estetica e meccanica



Sempre riferendoci alla produzione italiana, osserviamo come attraverso le sei serie, che possiamo designare con sigle che vanno da B1 a B6, vi sia stata un’evoluzione graduale ma costante della meccanica e dell’allestimento delle vetture, che testimonia l’importanza che la 600 rivestiva nel listino FIAT e le politiche commerciali attuate, che vanno inquadrate nell’ottica di un nascente marketing. La prima serie della 600 presentata nel 1955, oggi la più ambita e rara, é facilmente riconoscibile essendo l’unica con i cristalli delle porte scorrevoli orizzontalmente. Con la seconda serie, presentata sempre a Ginevra nel marzo 1957, arrivano invece i vetri discendenti e si tratta proprio della versione alla quale appartiene la vettura celeste del nostro fotoservizio (si tratta di un esemplare magistralmente restaurato che appartiene al collezionista grossetano Sandro Vaghetti). Con la terza serie (“B3”), introdotta nel marzo 1959 ancora al Salone di Ginevra, scompaiono i fanalini posti sopra i parafanghi anteriori e vengono adottate luci simili a quelle della 500, poste al di sotto dei fari. Posteriormente scompaiono i fanalini di piccole dimensioni e vengono adottati quelli “stile 500”, più grandi, che rimarranno invariati nelle serie successive. La “B4” é invece la prima variante dotata del motore “100 D” e, quindi, la prima delle 600 D. Venne presentata al Salone di Parigi del 1960 e segna una svolta importante nell’evoluzione del modello. Si distingue dalle versioni precedenti per il nuovo lamierato del cofano motore, ora con grigliatura maggiorata, e per i deflettori orientabili. Resta in produzione fino al maggio del 1964, quando viene presentata la “B5”, che é la prima versione dotata delle porte incernierate anteriormente, mentre le versioni precedenti avevano tutte le porte “suicide” (suicide doors), con le cerniere applicate posteriormente.

L’ultima versione arriva al Salone di Torino alla fine del 1965. Si tratta della nota “Fanaloni”, nomignolo che deriva dai nuovi fari maggiorati, caratterizzata anche dal nuovo fregio ristilizzato posto sul frontale. Si tratta della vettura bianca del nostro servizio, cioé del modello destinato a restare in listino sino alla soglia degli anni ’70. (questo esemplare appartiene a Claudio Conte, noto collezionista e concessionario, anch’egli grossetano). La configurazione di carrozzeria di questa ultima serie della 600 D sarà la base per diverse versioni estere, SEAT e Zastava in primis, il cui orizzonte temporale giunge ben oltre la fine della produzione in Italia. Queste nostre considerazioni ed i riferimenti alle diverse serie della piccola torinese valgono per i modelli FIAT del periodo 1955-1969, perché nelle produzioni estere l’evoluzione del modello ed i tipi prodotti non corrispondono esattamente ai modelli italiani. Si ebbero, infatti, commistioni di motori, lamierati, allestimenti e piccoli particolari della carrozzeria. Ciò si può constatare facilmente focalizzando la nostra attenzione sui modelli costruiti su licenza dalla spagnola SEAT, che iniziò la produzione della 600 nel 1957 (due anni dopo la FIAT) e non ebbe una versione con i vetri scorrevoli orizzontalmente per cui, grosso modo, la prima serie spagnola coincide con la seconda serie italiana (vetri discendenti). I modelli FIAT e SEAT sono accomunati dalla fama di andare soggetti a surriscaldamento, soprattutto dopo uno sforzo prolungato del motore, il che si verificava principalmente nelle prime versioni. Tuttavia, come abbiamo potuto constatare nel corso della nostra prova, se a queste utilitarie non si chiede troppo il problema del surriscaldamento non si pone.

Meglio, allora, godersi l’atmosfera vintage che offre la 600 e viaggiare ad andatura turistica, assaporando una piccola vettura che può essere molto piacevole da guidare. 21 cavalli sono sufficienti per spingerla con uno spunto soddisfacente ed il divertimento inizia dal principio, salendo a bordo dalle porte suicide (almeno per quanto riguarda i modelli fino al 1964). E’ questo il caso dell’esemplare celeste che Vi mostriamo, immatricolato nel 1958, mentre la bella “fanaloni” bianca rappresenta la versione matura della 600, con le porte incernierate anteriormente, il deflettore, poche cromature, il lamierato del cofano motore con le griglie addizionali (immediato il confronto con la sorella più anziana), aggiunte in più proprio per migliorare il raffreddamento, oltre al fregio frontale più semplice e moderno (un solo baffo cromato anziché tre). Sul cofano motore abbiamo tre fessure in più per ogni lato, cioé 18 invece di 15 per un totale di 36, poste ai due lati della targa a partire dalla prima 600 D, cioé dal modello che abbiamo designato come “B4” nelle nostre precedenti note, accogliendo una prassi divenuta sempre più comune tra i collezionisti. Con queste notizie ed osservazioni é possibile, sempre che un esemplare sia in condizioni di originalità, capire a colpo sicuro quale versione abbiamo davanti a noi. Dal punto di vista meccanico, invece, l’evoluzione maggiore si ebbe con il passaggio dalla 600 alla 600 D, con il relativo incremento di cilindrata (da 633 a 767 cm3 ). Conseguentemente veniva incrementata la potenza e quindi le prestazioni.

Tuttavia, anche prima di questo importante cambiamento, vi era stato un costante e graduale affinamento della parte meccanica, con novità introdotte quasi sempre in occasione dei restyling che abbiamo già ricordato. In questo modo la potenza della prima versione, pari a 21,5 CV, da marzo 1957 era passata a 22 CV sempre a 4.600 giri/min., mentre da marzo 1959 era ulteriormente salita a 24,5 CV a 4.900 giri/min. Contemporaneamente, il valore originario della coppia massima, pari a 4 kgm a 2.800 giri/min., nel marzo del 1957 era stato incrementato a 4,5 kgm a 2.400 giri/min.. Nel marzo 1959 il valore assoluto della coppia massima restava di 4,5 kgm, ottenuti però un po’ più in alto, al regime di 3.000 giri/min.

 

CARATTERISTICHE TECNICHE



Qui di seguito riportiamo in due schede le caratteristiche tecniche della 600 e della 600 D. Nella prima scheda abbiamo messo tra parentesi i dati della seconda serie, cioé della vettura celeste del nostro servizio che, come abbiamo già visto, viene indicata come B2. Per ognuna delle tre serie dotate del motore Tipo 100 si ebbero piccoli incrementi della coppia e della potenza massima. Tra la prima versione del 1955 e le ultime 600 vi fu un incremento della potenza di una decina di cavalli (come sempre il dato dipende dalle norme cui si fa riferimento) che, se in valore assoluto non sono pochi, in termini percentuali equivalgono a circa il 50% in più.

SCHEDA TECNICA della FIAT 600 PRIMA SERIE

(tra parentesi i dati della seconda serie, la “B2”)
Motore:
4 cilindri in linea, alesaggio x corsa = 60 x 56 mm, 633 cm3, potenza max 21,5 (B2: 22) CV a 4.600 giri/min, rapporto di compressione 7:1, un albero a camme nel basamento, alimentazione mediante un carburatore Weber 22 DRA poi Weber 22 DRA 1 oppure Solex C 22 BICF (B2: Weber 22 IM).
Trasmissione:
trazione posteriore, frizione monodisco a secco, cambio a 4 marce + RM, pneumatici a bassa pressione 5,20-12”.
Corpo vettura:
carrozzeria autoportante berlina oppure trasformabile, due porte, sospensioni anteriori a ruote indipendenti con bracci trasversali superiori, balestra trasversale inferiore, ammortizzatori telescopici; posteriori a ruote indipendenti con bracci trasversali, molle elicoidali, ammortizzatori telescopici; freni a tamburo, sterzo a vite e settore elicoidale.
Dimensioni e peso:
passo 2.000 mm, lunghezza 3.215 mm (versioni trasformabili e tutte a partire da ottobre 1957: 3.285 mm), larghezza 1.380 mm, altezza 1.405 mm, peso a vuoto 585 kg.
Prestazioni:
velocità max 90 (B2: 95) km/h.
Consumo medio:
5,7 l /100 km.

SCHEDA TECNICA della FIAT 600 D

(versioni con motore tipo 100 D)
Motore:
4 cilindri in linea, alesaggio x corsa = 62 x 63,5 mm, 767 cm3, potenza max 32 (29 secondo norme CUNA) CV a 4.800 giri/min, rapporto di compressione 7,5:1, un albero a camme nel basamento, alimentazione mediante un carburatore Weber 28 ICP oppure Solex C21 PIB.
Trasmissione:
trazione posteriore, frizione monodisco a secco, cambio a 4 marce + RM, pneumatici a bassa pressione 5,20-12”.
Corpo vettura:
carrozzeria autoportante berlina oppure trasformabile, due porte, sospensioni anteriori a ruote indipendenti con bracci trasversali superiori, balestra trasversale inferiore, ammortizzatori telescopici; posteriori a ruote indipendenti con bracci trasversali, molle elicoidali, ammortizzatori telescopici; freni a tamburo, sterzo a vite e settore elicoidale.
Dimensioni e peso:
passo 2.000 mm, lunghezza 3.295 mm, larghezza 1.380 mm, altezza 1.405 mm, peso a vuoto 605 kg.
Prestazioni:
velocità max 110 km/h.
Consumo medio:
5,8 l /100 km.

 

La genesi della vettura



Non si può affrontare l’argomento della FIAT 600 senza parlare del suo progettista che, come tutti sanno, fu l’ingegner Dante Giacosa (1905-1996). Giacosa é una figura di tecnico e creatore di automobili che non ha bisogno di presentazioni, in virtù della sua smisurata opera che, in FIAT, si tradusse in 40 anni di progettazione, alla quale occorre aggiungere l’attività di educatore, docente e fecondo pubblicista, autore di testi come il celeberrimo “Motori Endotermici”, vero e proprio vademecum degli studenti di Ingegneria per intere generazioni. Direttamente dalla 600 deriverà la 850 (introdotta nel 1964) e, almeno per quanto riguarda il motore, la 127 e numerose altre FIAT di successo. In questo modo il piccolo quattro cilindri, nato con una cubatura di soli 633 cm3, crescerà nel tempo, restando sempre attuale e presente sulla scena dell’automobile durante più decenni.

Tra i testi scritti da Giacosa spicca “Progetti alla FIAT prima del computer”, edito da Automobilia, uno spaccato di storia industriale italiana che riteniamo imperdibile per chiunque si interessi all’automobile. Leggere oggi questo libro, che costituisce l’autobiografia del progettista, é un po’ come intervistare l’ingegnere, scomparso nel ’96. Nella nostra ottica é del massimo interesse andare a rileggere il capitolo ove racconta la complessa genesi della 600. Leggiamo o, meglio, ascoltiamolo: “Definito nel 1951 il progetto della 103, era giunta l’ora della scelta per la sostituzione della 500 C. La 500 C Giardiniera aveva successo e diffusione, ma non poteva essere prodotta in grande quantità per molti anni” -spiega il progettista- Era dunque inevitabile sostituirla con un modello più moderno a quattro posti”. Lo scoglio maggiore in tema di specifiche tecniche era il vincolo posto dai vertici FIAT, che volevano che il peso fosse contenuto in soli 450 kg. Giacosa sapeva bene che questo obiettivo era impossibile da raggiungere, tanto che scrive: “Sapevo come regolarmi. Il peso di 450 kg era un miraggio, ma badai bene dal discuterne. Mi bastava per il momento aver ottenuto libertà di scelta per la posizione del motore”.

Giacosa infatti aveva concluso che, per alloggiare quattro persone in una vettura possibilmente più piccola della 500 C Giardiniera, l’unica opzione possibile stava in una soluzione “tutto avanti” oppure “tutto dietro”. In prospettiva storica la soluzione tutto dietro sarebbe stata quella adottata per la 600 mentre l’opzione tutto avanti si materializzerà solo più tardi. Come si giunse alla scelta di un’architettura meccanica di questo tipo? Vi furono certamente motivazioni tecniche, legate anche alla sperimentazione di diverse motorizzazioni, tra cui un due cilindri contrapposti. Si trattava, in realtà, di un motore con architettura a V di 150o che, però, manifestò diverse problematiche e, alla fine, venne accantonato. “Fu in definitiva la valutazione del costo” -prosegue l’autore- “a farmi scegliere la disposizione “tutto dietro”. La “tutto avanti”, attraente per i vantaggi di ordine tecnico che la trazione anteriore presenta, ma soprattutto per lo spazio consentito alla carrozzeria, risultava… di costruzione nettamente più cara della soluzione con motore posteriore”. Ricapitolando, lo stato maggiore della FIAT chiedeva all’ingegner Giacosa quasi l’impossibile, cioé di realizzare una vettura che sostituisse la 500 C Topolino e la sua popolare versione Giardiniera con una nuova utilitaria, che fosse in grado di trasportare quattro persone, con una velocità massima non inferiore ad 85 km/h ed un peso contenuto in soli 450 kg.

Prescindendo da quest’ultimo requisito, che lo stesso progettista riteneva all’atto pratico impossibile da soddisfare, la soluzione doveva passare per una vettura con architettura meccanica “tutto avanti” oppure “tutto dietro” e fu prescelta quest’ultima. Nacque così la FIAT 600 e divenne uno dei più grandi successi commerciali di tutti i tempi, affiancata nel Mondo dalle “sorelle” gemelle, che recavano i marchi SEAT, Zastava, Neckar oppure erano fabbricate in luoghi lontani come Argentina e Cile, da dove si diffusero in tutto il Sudamerica. Solo per fare un esempio, in Uruguay ancora oggi é possibile veder circolare delle 600, che la gente chiama affettuosamente con il nomignolo di “El Fitito” (la piccola FIAT).

 

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